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Cos'è l'agricoltura di montagna
PERCHè FINANZIARE l'agricoltura di montagna

progetti finanziati agricoltura di montagna

Bovini geolocalizzati in tempo reale e recinti virtuali in un’avveniristica sperimentazione del progetto iGRAL nella montagna piemontese

 

Sarebbe utile e praticabile la geolocalizzazione delle vacche al pascolo in alpeggio? I ricercatori iGRAL stanno sperimentando in Valsesia un sistema di tracciamento della posizione delle vacche Highland. 

Il progetto IALS prevede come primo step lo studio delle caratteristiche nutrizionali dei foraggi impiegati nelle diverse stagioni, estiva e invernale,  per l’alimentazione delle  bovine in alta montagna.  Attraverso la nutrizione animale è infatti  possibile manipolare e migliorare la composizione del latte e dei prodotti che ne derivano.  In particolare, l'alimentazione al pascolo,  basata  sul consumo di erba fresca,  comporta notevoli vantaggi sia in relazione al benessere degli animali che alle  caratteristiche nutrizionali e funzionali dei prodotti che ne derivano (latte, formaggi, carne).

Il latte e i formaggi dei ruminanti alimentati con erba fresca di alta montagna sono più ricchi di componenti bioattivi con potenziali effetti benefici per la salute umana e presentano caratteristiche sensoriali tipiche molto apprezzate dai consumatori.

La tracciabilità e l’autenticità di tali prodotti può essere confermata attraverso analisi chimiche lungo la filiera: erba – latte- formaggi .

Ma come mai tali prodotti sono così diversi rispetto a quelli derivati da animali allevati in modo più intensivo, alimentati con insilati o foraggi essicati?  La risposta risiede principalmente nelle caratteristiche dell’erba verde consumata al pascolo e in particolare nella sua componente lipidica. L’erba fresca, infatti, pur avendo un tenore lipidico basso, ha un profilo acidico molto interessante. Infatti circa la metà dei suoi acidi grassi è costituita da un acido grasso della serie n-3, l’acido alfa-linolenico (C18:3 n3).  Questo acido grasso è il precursore degli acidi grassi n-3 a più lunga catena, come EPA (C20:5 n-3) e  DHA (C22:6 n-3),  i famosi acidi grassi n-3 (o omega 3)  divenuti molto popolari  presso il grande pubblico in quanto oggetto di numerosi  articoli pubblicati negli ultimi anni.  Gli acidi grassi omega-3, e in particolare quelli a lunga catena EPA e DHA, sono  essenziali per un normale accrescimento e sviluppo dei mammiferi. I maggiori benefici per la salute umana riguardano la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, ipertensione, diabete di tipo 2, disordini neurologici e stati depressivi. Inoltre l’EPA presenta proprietà anti-infiammatorie che lo rendono un potenziale agente terapeutico nelle malattie infiammatorie e autoimmuni. Il DHA riveste poi un ruolo essenziale durante l’accrescimento perinatale, favorendo un normale sviluppo neuronale nel feto e nel neonato. Tipicamente la dieta dell’uomo moderno occidentale è carente di acidi grassi EPA e DHA, che in natura si trovano nei prodotti di origine marina, particolarmente nell’olio di alcuni pesci (sgombro, salmone, sardine, aringhe, tonno ecc.) e nelle alghe marine. Le diete normalmente impiegate per i ruminanti non contengono EPA e DHA, se non a livelli infinitesimali. Di conseguenza i livelli di EPA e DHA nel latte sono estremamente bassi (meno di 0.1 g/100 g di acidi grassi). È possibile aumentare tali livelli somministrando per esempio olio di pesce agli animali in lattazione.  Tuttavia l’efficienza di trasferimento nel latte di questi acidi grassi poli-insaturi è bassa e inoltre la somministrazione di olio di pesce può causare la depressione del tenore lipidico del latte. Un altro limite  è la sostenibilità, sia di tipo  economico che  ambientale,   relativa all’eventuale impiego dell’olio di pesce come fonte di acidi grassi-omega-3 per i ruminanti. Pertanto in alimentazione animale  è diventato  cruciale considerare delle fonti alternative,  come per esempio alghe marine ricche in DHA,  oppure camelina e  semi di lino  che sono ricchi in  acido linolenico (C18:3 n-3), il precursore di EPA e DHA.  Ma in ultima analisi, la fonte più semplice e naturale di tali acidi grassi poli insaturi  è il pascolo e l’erba fresca in generale,  ricca come abbiamo visto, in acido linolenico.

L’ erba è un insieme di decine di piante diverse, mix unico e prezioso per il pascolo. Il progetto iGRAL sperimenta diverse modalità di gestione delle praterie alla ricerca di quella più sostenibile. 

 

Contrariamente a quanto si può immaginare, non sempre le praterie, formazioni costituite prevalentemente da piante erbacee, sono di origine naturale. Specialmente nelle aree mediterranee, si sono sviluppate per azione dell’uomo e si sono mantenute nel corso del tempo attraverso l’utilizzo di pratiche agricole tradizionali e poco invasive. La Comunità Europea, attraverso la Direttiva Habitat, riconosce alle praterie un ruolo fondamentale per la conservazione della biodiversità animale e vegetale e le indica tra gli habitat da conservare. Poiché si tratta di contesti semi-naturali, la conservazione passa attraverso la gestione sostenibile, che assicuri cioè la rigenerazione delle risorse: se non venisse utilizzata, la prateria verrebbe in poco tempo invasa dagli arbusti.

Perché le praterie sono così importanti per la biodiversità? Perché sono caratterizzate da un grande numero di piante (nelle praterie europee fino a 89 per m2) e di animali diversi, molti dei quali esclusivi, come ad esempio varie specie di orchidee o il trifoglio sotterraneo. Quella che viene chiamata genericamente “erba” è in realtà un insieme di decine di specie di piante diverse, ognuna con una specifica funzione.

Le praterie costituiscono un importante capitale naturale, ricco di valori ambientali, culturali ed economici. Uno dei principali è il fatto che rappresentano una risorsa molto valida per il nutrimento degli animali allevati per la produzione di carne e di latte. Il consumo dell’erba può essere diretto (pascolo), o indiretto, nel caso in cui l’erba venga sfalciata e offerta agli animali in un tempo successivo (prato).

Entrambe le pratiche, se svolte in maniera sostenibile, cioè in modo da assicurare la rigenerazione della risorsa, giocano il doppio ruolo di fornire cibo agli animali e di conservare la biodiversità. Oggi, in molte aree, le praterie stanno scomparendo a causa di due fenomeni contrastanti: l’abbandono, dovuto alla riduzione delle attività pastorali, e l’intensificazione delle attività produttive. Questi fattori, legati alla modernità, causano una rottura dell’equilibrio che si è creato nei millenni tra le piante e gli animali e quindi la perdita di biodiversità e dell’importante risorsa costituita dal foraggio.

Utilizzando indicatori naturali come le piante e le formiche, il progetto iGRAL valuta gli effetti sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici (cioè i benefici che l’ambiente fornisce all’uomo), in modo da promuovere la tutela e la valorizzazione di un patrimonio irripetibile.

 

Simonetta Bagella, Università degli Studi di Sassari

 

La produzione casearia ha rappresentato - e rappresenta tuttora - una delle forme più peculiari di espressione della cultura, dell'economia e della caratterizzazione ambientale di un territorio. Ciò spiega la grande varietà di forme, di tipologie, di organizzazione produttiva, di lavorazione, di stagionatura e di conservazione del prodotto, che descrivono il sistema della trasformazione casearia. Un formaggio tradizionale può essere definito un prodotto caseario legato ad un territorio, in cui la gente del luogo con la propria cultura e le proprie tradizioni ha messo a punto e poi mantenuto un sistema di produzione e trasformazione del latte con tecniche, frequenze di produzione e sistemi di stagionatura disponibili solo in quel determinato territorio.

La qualità e autenticità di questi prodotti coinvolge quindi aspetti diversi e per qualificare e valorizzare i formaggi tradizionali è necessario identificare opportuni indicatori di qualità misurabili. Oggi sappiamo che le caratteristiche intrinseche positive degli alimenti sono strettamente legate al genotipo degli animali allevati (biodiversità), al sistema di allevamento (intensivo, estensivo, pascolo, biologico) e alle tecnologie di trasformazione (es.: caglio, lavorazione della cagliata, stagionatura); esse quindi consentono non solo di definirne la tipicità, ma anche di produrre alimenti funzionali per particolari fasce di consumatori.

Tra le centinaia di composti isolabili con metodi chimici e derivanti dalla dieta degli animali, dall’ambiente e dai complessi fenomeni maturativi cui i formaggi vanno incontro durante la stagionatura, i più importanti e caratterizzanti sono sicuramente, da un lato, quelli che hanno un'azione positiva in termini nutrizionali sulla salute dell'uomo e dall'altro quelli che caratterizzano il prodotto collegandolo ai luoghi ed alle tecnologie di produzione.

Uno dei segnali più visibili della crisi del mondo agricolo è l’abbandono dell’attività in molte aree marginali e soprattutto in montagna. Le produzioni lattiero-casearie di malga sono in declino, il pascolo viene progressivamente invaso da forme boschive non sempre di pregio, i fabbricati rurali vengono lasciati andare e sono soggetti a degrado e crolli, l’equilibrio idrogeologico di molti versanti risulta compromesso, la qualità del paesaggio montano costruito in secoli di attività agricola tende a degradarsi.

Ad aggravare il quadro di instabilità si aggiunge l’abbandono della montagna da parte dei giovani e il costante invecchiamento della popolazione che portano ad una difficile gestione dei territori, ad una bassa propensione all’innovazione e quindi alla ricerca di una nuova strada per il rilancio economico degli ambienti più depressi. Tuttavia, l’attività agricola resiliente rimane indispensabile per la gestione del territorio e dell’economia delle valli alpine e svolge funzioni di cui beneficiano anche i cittadini, i turisti e gli altri fruitori occasionali della montagna.

Giovedì 11 aprile 2019 si è tenuto presso la Sala Falcioni della ex Cappella Mellerio di Domodossola l’evento di presentazione ufficiale alle istituzioni, agli stakeholder del territorio e alla comunità della Val d’Ossola del progetto IALS - Integrated Alpine Livestock Systems: from ecosystem services to premium mountain products (Sistemi Integrati di Allevamento Alpino: dai servizi ecosistemici ai prodotti di alta montagna).

La ricerca scientifica legata al progetto IALS per la valorizzazione della filiera produttiva degli allevamenti di alta montagna vede come partner di progetto due aziende zootecniche da latte localizzate nel territorio del Verbano-Cusio-Ossola: l’Azienda Agricola Dellapiazza di Jodi Maccagno e l’Azienda Formazza Agricola di Lara Pennati. Il latte ed i formaggi prodotti da queste aziende sono oggetto di ricerca; in particolare nel corso del progetto verranno evidenziate le proprietà funzionali e nutrizionali di latte e formaggi di montagna a partire dalle caratteristiche del foraggio (erba sfalciata e pascolo) con cui vengono alimentati gli animali nel periodo estivo e in quello invernale. Ciò determina fortemente l’unicità del sapore dei prodotti trasformati, strettamente correlato al luogo di produzione e al benessere delle vacche allevate.

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Giovedì 11 aprile 2019 si è tenuto presso la Sala Falcioni della ex Cappella Mellerio di Domodossola l’evento a invito di presentazione ufficiale alle istituzioni, agli stakeholder del territorio e alla comunità della Val d’Ossola del progetto IALS. 

Per la prima volta uno studio italiano quantifica il contributo delle formiche nel determinare la qualità dei pascoli montani del Piemonte e della Sardegna

 

Ad oggi sono state descritte ben oltre 16.000 specie di formiche che vivono in quasi tutti gli ecosistemi del nostro pianeta. A giudicare dalle dimensioni di un’operaia di Brachymyrmex1 dell’America centrale o di una minuscola Leptanilla2 della Sardegna, si potrebbe stimare il peso di queste minutissime formiche in poche decine di microgrammi (la milionesima parte del grammo) o poco più. Ingresso di un nido di formiche All’estremo opposto ci sono specie come il Dinomyrmex gigas3 le cui operaie raggiungono tranquillamente i 2 cm di lunghezza e possono pesare sino a quasi mezzo grammo. Ernst Josef  Fittkau e Hans Klinge (1973) stimarono il peso delle formiche nella foresta pluviale nei pressi di Manaus in Brasile. Essi scoprirono che il peso secco di tutte le formiche era circa quattro volte superiore a quello di tutti i vertebrati terrestri messi insieme.

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Progetto Ager

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